mercoledì 2 settembre 2009

Salti di Marmore: emozioni da raccontare

Era un piovoso sabato pomeriggio di giugno dello scorso anno, quando decisi di andare ad ispezionare i “salti laterali” di Marmore. Erano li da sempre. Visti e rivisti mille volte, da turista e da canoista, ma mai osservati con l’occhio di chi ha “diverse intenzioni”.
Quel pomeriggio ero da solo.
Dopo aver pranzato con altri canoisti, mi avvio nei sentieri che conducono alla visita panoramica della cascata.
Fu strano percorrere quei sentieri. Avvertii una certa emozione, come se fossi sicuro di non poter tornare indietro con la libera scelta di farli o non farli. Percorrevo la strada con la convinzione che avrei visto quel sentiero al ritorno con gli occhi di chi si lascia alle spalle un passaggione tanto atteso e finalmente superato. L’emozione aumentava con l’avvicinarsi del rumore. Continuavo a convincermi che stavo solo “dando un’occhiata”, che sarebbe stata una delle tante volte in cui mi recavo li, che non era detto che si potessero fare. Ma, sinceramente, mi sentivo come rapito. Come se non fossi stato poi libero di poter esprimere un giudizio oggettivo. E’ chiaro che poi lo avrei espresso. L’intenzione non è mai stata e mai lo sarà, di giocare alla roulette russa, ma non so, mi sentivo in qualche modo “costretto”. Fui addirittura al punto di tornare indietro, per avere la scusa di dire a me stesso di non poter esprimere un giudizio senza un elemento di valutazione.
Nel mentre di questo pensare, mi ritrovo davanti ai salti. Questa volta erano diversi. Ma il significato di quella diversità non era nella loro forma fisica, era in me. Non li avevo mai osservati con l’idea di volerli fare in canoa. Paragonati a tanti passaggioni che esistono in giro, li definirei assolutamente “nella norma”, ma loro rappresentavano ben altro per me. Loro mi hanno visto crescere. Da quando i miei genitori mi portavano ancora bambino a vedere la cascata, a quando iniziai questa splendida esperienza di vita attraverso il mondo della canoa, a quando, canoista maturo, li osservavo, in quel momento, con rispetto e con un pizzico di timore guardandoli negli occhi. Si, ora ci stavamo guardando negli occhi. Il loro sguardo era deciso, misterioso, forse aggressivo. Il mio era intimorito. Ma sapevo che il timore veniva da quella giusta dose di umiltà che possiede un canoista maturo. Non veniva dai salti. Il mio timore, sfociava anzi nella curiosità.
Seguii il sentiero attraverso le scale che costeggiano i salti. Li, iniziai una attenta analisi tecnica e liberai la mente da tutte le sensazioni che riguardano l’umano.
Valutai le linee d’acqua, le possibili vie da dove affrontare il salto. Valutai il catino di ricezione, i suoi movimenti, la conformazione delle sponde, i punti di sicura e cosa potesse accadere se qualcosa andasse storto. Fui immerso in questa analisi per circa un quarto d’ora. Nel mentre, pioveva. Ovviamente, da buon canoista, non avevo ombrello. Ero totalmente zuppo. La spalla mi faceva male e decisi di rientrare.
Giunto in macchina, preso da un raptus di outing, non esitai a telefonare a Maurizio Beccafichi descrivendo quanto avevo visto e analizzato.
Inutile dire che trovai terreno fertile. Era come se li avessimo fatti.
Durante la settimana, Maurizio, avendomi realmente preso sul serio, andò anche lui ad ispezionarli e si convinse definitivamente di ciò che ormai già sapeva con certezza: si fanno !
Galeotta fu però la mia spalla. La settimana dopo mi ritrovavo su un bel letto operatorio con un artroscopio che mi ravanava i tendini e mi costringeva a star fermo per i successivi tre mesi.
Vi lascio immaginare invece, con mio sommo piacere, cosa fecero i ragazzi.
Il salto più alto fu superato per la prima volta da Maurizio Beccafichi i primi di luglio 2008 al quale seguirono altri canoisti. Il salto più basso fu invece fatto per la prima volta da Carlo Sbrenna.
Eccomi arrivato ad oggi. Lontano dal ricordo dell’operazione, e dopo aver fatto splendidi viaggi di canoa durante questo 2009, domenica 30 agosto, decido che è giunto per me il momento.
Lo dico a Carlo la sera prima. Mi appoggia e ci sarà anche lui. Per lui è la seconda volta.
Ci troviamo molto presto la domenica mattina in prossimità dei salti, quando la cascata è ancora chiusa. Si, perché se ti becca lo staff della cascata, ti fracassa le palle e ti vieta di entrare in canoa. Consapevole di questo, la mattina presto portiamo le canoe su per non aver problemi dopo, all’entrata.
Suona finalmente la sirena dell’apertura. L’acqua arriverà tra circa mezz’ora. Il tempo di cambiarci e organizzare il gruppo delle sicure.
Arriviamo davanti ai salti. Questa volta il sentiero nemmeno l’ho visto. Ero troppo concentrato per pensare ad altro.
Posizioniamo le sicure ed il ponticello davanti al primo salto, si affolla di turisti curiosi. Partono i primi flash.
Carlo ed io andiamo in alto verso l’imbarco. Con l’imbraco ci caliamo giù nel canyon profondo circa 5-6 metri a monte del salto.
Il salto è ora a pieno regime. Nella sua altezza di circa 12-13 metri l’acqua cade con un boato di tutto rispetto. Il catino non presenta particolari problemi. E’ profondo, l’acqua è ossigenata e non ci sono forti ritorni. Il vero problema è NON andare a sinistra. L’acqua cade in fondo ad una parete che potrebbe creare problemi seri se ci si sbatte contro. Un altro aspetto da non sottovalutare è una piccola nicchia sulla destra orografica in cui ti porta sicuramente l’acqua del catino. Quindi, veloci in caso di eskimo e sicura pronta a recuperarti in caso di bagno. Nicchia a parte, rischi di andare giù e farti pure il salto dopo a bagno. E questo non sarebbe cosa buona e giusta.
Pronti alla partenza ce la giochiamo a pari e dispari. Vinco io. Bene, è un segno. Dopo un anno di attesa è il minimo che si potesse desiderare.
Mi imbarco in bilico stando attento a non scivolare giù. L’acqua tira da paura.
Tutto ok, parte il fischio.
Mi stacco dalla sponda. Vedo lontano la soglia del salto. Prendo un riferimento e non lo mollo più con lo sguardo. L’acqua è veloce più di quanto mi fossi aspettato. Il poco fondo ti porta a strusciare, ma a velocità esorbitante. L’acqua tende a girarti la canoa e a metterti di traverso. Così rischio di saltare di fianco. Non sarebbe affatto bello. Riesco con una timonata destra a raddrizzare la barca e passo proprio nel punto dove volevo. La barca si stacca, la posizione è corretta: sto volando.
Vedo il catino avvicinarsi velocemente. Entro nel catino e sento un fortissimo impatto sul torace. Tutto ok. Mi capovolgo e mi si stacca la pagaia dalla mano destra.
Velocemente afferro la pala, tiro l’eskimo e mi trovo appoggiato col fianco giusto sulla sponda in cui c’è la nicchia.
Sono passato ! Ho fatto il salto che vedevo quand’ero un ragazzo ! Sono qui. Sono io.
Grande entusiasmo della folla, degli amici. Bello, è proprio uno schioppone, ho sentito dire. Anch’io ne sono altrettanto convinto.
Ma ora tocca a Carlo.
Parte il fischio. Lo intravedo. E’ troppo di traverso. Anche lui l’acqua lo sta girando. Vedo che non controlla, anzi, controlla. L’esperienza lo ha aiutato a valutare che, in quel punto, il movimento più giusto era quello di assecondare e non contrastare la rotazione. Con un colpo si posiziona perfettamente all’indietro, si chiude in avanti ed effettua il salto al contrario ma con posizione dello scafo perfetta. Entra nel catino di coda. Sparisce totalmente e riemerge capovolto. Eskimo veloce. Anche lui è fuori. Tutti acclamano. I flash si sprecano. Bello. Che bei momenti intensi.
Dopo qualche battuta goliardica per scaricare l’adrenalina, siamo pronti per affrontare il secondo salto.
Trasbordiamo il ponticello in cui sono accalcati i turisti, e ci dirigiamo allo scouting del secondo salto.
Qui si tratta di cosa diversa. Più basso. Diciamo circa 6-7 metri. Il catino non presenta particolari problemi. Unico punto di attenzione è un sasso affiorante a sinistra orografica, ma è difficile andarci. Anche per questo salto vale quanto detto per il precedente: l’acqua tira velocissima. Bisogna scivolare su un toboga, non troppo pendente, di circa 20 metri prima di affrontare il salto. E’ però più facile controllare la canoa.
Posizioniamo le sicure e stavolta va per primo Carlo. Mi sembra giusto così.
Parte, si tiene molto a destra, troppo secondo me, ma passa perfetto.
Parto io, mi tengo più al centro. A destra c’è un dente che non mi piace. Preferisco la via centrale. Stacco perfetto, ma nel momento in cui tocco il catino mi capovolgo sul lato destro. Come se avessi sfiorato qualcosa. Non sento però alcun colpo. Tiro l’eskimo e anch’io sono fuori.
E’ fatta. I due salti sono stati superati.
Mi trovo ora a scrivere quella che è stata per me una grande impresa. La sua grandezza non sta nell’aver compiuto i salti. Sinceramente, in questi venti anni di canoa, abbiamo fatto cose ben più impegnative. La sua grandezza, sta nel coinvolgimento emotivo che nutro per quel luogo. Luogo in cui ho imparato a correre. Luogo in cui ho cominciato a sognare le avventure della mia vita.
Grazie di cuore a tutti coloro che mi hanno permesso di vivere questa meravigliosa esperienza.
Sergio, Paolo, Matteo per le sicure. Lucio per il reportage video-fotografico. Carlo, canoista e amico di vecchia data con il quale ho condiviso, condivido e condividerò le emozioni della canoa.
Appena saranno disponibili i filmati li pubblicheremo.

Un caro saluto a tutti.

Feel you Free !


Mario Adolini
Feel you Free kayak school
Liquido Kayak Team
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1 commento:

Anonimo ha detto...

caz che bel racconto zi,
tutto di un fiato lo leggi,
perche non scrivi favole per canoisti .
bella zi mario
se se se dino